Quanta bellezza da incrociare perdendosi tra strade, stradine e chiassi del centro storico di Monopoli. La zona oggi più affascinante e di maggior appeal turistico, sviluppatasi nel corso dei secoli intorno al suo porto naturale. Da cogliere l’importanza della flotta peschereccia e la graziosità delle tipiche imbarcazioni locali da pesca con i loro colori, dette “gozzi”.
E sempre nei pressi del porto, animato dalle voci dei pescatori, da ammirare è la magnifica chiesa romanica di Santa Maria degli Amalfitani.
Dopo la conversione in stile barocco avvenuta nell’anno 1772, questo affascinante luogo sacro è stato interessato da interventi di ripristino dell’originario romanico eseguiti nei primi decenni del ‘900. Un “fiore all’occhiello” dell’arte religiosa di Puglia. Quanta emozione nel visitare la cripta sottostante, anticipata da un sepolcreto. Al suo interno si notano ancora tracce di affreschi anonimi sulla vita di San Nicola ed altre decorazioni.
Da qui sarete prossimi a piazza Garibaldi, cuore della vita sociale ed economica di un tempo. Tra caffetterie, graziosi ristoranti e negozietti di souvenir si distinguono subito le architetture di Palazzo Rendella, sede di una delle più belle ed innovative biblioteche nazionali. Una nuova “piazza del sapere”, luogo multimediale e multiculturale. È intitolata al giurista monopolitano Prospero Rendella ed è concepita come spazio moderno, lontano dall’immaginario comune di biblioteca.
Affacciandosi dall’arco di Porta Marina, recentemente restaurato, detto anche “portella del Caricaturo”, si scorge tutta la vastità del porto, i suoi due fari, il molo Margherita, l’imponenza del castello e le singolari linee settecentesche di Palazzo Martinelli-Meo Evoli, costruito quest’ultimo a ridosso delle mura. Si affaccia proprio sul porto con otto arcate ogivali, in stile neogotico, ed una balconata con balaustrini.
Di ritorno sui nostri passi, proseguiamo il percorso non costeggiando il mare, ma solo per goderci intanto altri siti di particolare interesse culturali. Infatti, prima di raggiungere il castello civico, svoltando in una stradina a destra, via S. Pietro, si sbuca nella magnifica piazza Palmieri, dove si è conquistati da una delle anime architettoniche più nobiliari e maestose del centro storico. Parliamo del settecentesco Palazzo Palmieri.
La grandiosità del prospetto principale con scenografica eleganza riflette i traguardi e la reputazione della nota committenza locale. Riprendendo la strada per il castello, porgiamo attenzione anche a certi chiassi in cui campeggiano antiche edicole votive sotto gli archi, dedicati alla patrona locale, la Madonna della Madia. Simboli di spontanea religiosità popolare e incondizionata fede alla Vergine, il cui arrivo a Monopoli secondo la leggenda avvenne nel 1117, attraverso una icona su zattera. Tale evento viene rievocato la notte del 16 dicembre o la sera del 14 agosto per i turisti ed emigranti di ritorno in città.
Giunti dinanzi al fortilizio varchiamo il suo portone per cogliere fino in fondo la storicità di una struttura affascinante. Concluso nel 1542 sotto la direzione del viceré don Ferrante Loffredo, l’edificio presenta le linee di una importante fortezza cinquecentesca. Oggi accoglie mostre e manifestazioni di carattere culturale.
Tutt’attorno il vostro occhio sarà rapito dal bastione “S. Maria” con i suoi cannoni e da una lunga e ampia balconata che offre la visione di un mare che bacia le tante cale e calette cittadine.
Meta successiva di questa passeggiata piacevole sarà la cattedrale. Prima di raggiungerla percorrerete via Papacere, strada resa ombrosa dalle possenti mura di difesa cittadine. E andando oltre l’affaccio su largo Portavecchia e sulla sua spiaggia non perdetevi la visita della chiesa detta “del Purgatorio”.
Il prospetto principale è attraversato artisticamente dal tema della morte. Gli stipiti e l’architrave del portale d’ingresso sono popolati da teschi e tibie incrociate. Una finestra a sinistra dell’ingresso principale consente di osservare, in alcune teche, i cosiddetti “morti in piedi”, mummie di confratelli del Purgatorio con mozzetta nera bordata in rosso e con una fiamma.
Arrivati sul sagrato della barocca Basilica Cattedrale, “casa” di Maria Santissima della Madia, si rimane incantati dall’imponenza del maggior tempio cittadino. Il progetto definitivo degli ingegneri Magarella e Colangiuli fu presentato nel 1741, mentre i lavori furono conclusi nel 1772.
L’interno, a croce latina, sembra realizzato tutto per celebrare la cappella superiore: l’altare edificato sull’abside dedicato proprio alla patrona. Tutto è grandioso: le due navate laterali terminano incontrando due rampe di scale che accompagnano il visitatore nel luogo dove si custodisce l’icona sacra del XIII secolo della Madonna. Nella chiesa, marmi rossi, gialli, bianchi e verdi ovunque creano cromatiche suggestioni. Da ammirare comunque tutte le cappelle presenti nelle navate laterali. Nella testata destra del transetto si apre la più imponente delle cappelle, commissionata dalla Confraternita del SS. Sacramento nel 1755, con la rappresentazione pittorica di un trittico di Francesco De Mura. Un olio che raffigura L’ultima cena. Uscendo dalla chiesa noterete poi la mole del palazzo episcopale che dialoga con le geometrie baroccheggianti della Cattedrale. Un muro esterno, completato nell’anno 1786, su progetto dell’architetto Palmieri, accoglie in apposite nicchie una successione di busti riproducenti santi, opere di Ludovico.
Sempre da qui si potrà far visita alla ricca collezione del vicinissimo Museo Diocesano che comprende dipinti e preziosi arredi sacri. Istituito nel 2002, il museo racconta le vicende religiose e culturali di Monopoli attraverso un’interessante raccolta di oggetti sacri provenienti dalle più antiche chiese del territorio e alcuni notevoli dipinti, tra cui opere di Palma il Giovane, Paolo Veronese e Paolo Domenico Finoglio.
Lasciato il centro storico, proseguendo per contrada S. Stefano, dirigiamoci verso un incantevole complesso fortificato alle porte di Monopoli, l’abbazia di Santo Stefano, sorta su un antico sperone di roccia.
Un antico sito retto un tempo da monaci benedettini, in seguito trasformato in ospedale dell’ordine Gerosolimitano. Alla fine del XIV secolo passò ai Cavalieri di Malta che lo ressero come feudo. Privatizzato all’epoca di Gioacchino Murat, il complesso è ancora oggi proprietà di privati.
Ai suoi piedi la spiaggia di porto Ghiacciolo, una delle tante meraviglie paesaggistiche sul mare, insieme alle tante grotte marine del litorale che si possono raggiungere in barca o a nuoto.
Insomma, cale, calette spiagge con sabbia e scogli, ma chi vuole godere di un lunghissimo litorale con sabbia dorata, caratterizzato dalle magnifiche dune naturali, può raggiungere in pochi minuti la bellissima località Capitolo, a sud della città.
Dal mare alla campagna tipica di Monopoli per scoprire la bellezza di maestosi ulivi secolari, il fascino della civiltà rupestre e di certe lame, oltre che la suggestione della visita delle masserie fortificate, molte di queste prossime sempre a lame. Quest’ultime sono il frutto del passaggio millenario delle acque convogliate dalle colline verso il mare.
A partire dall’alto medioevo, gli abitanti del territorio hanno utilizzato il tipo di roccia delle pareti dei lunghi canali, scavando per ricavarne ambienti destinati agli usi più disparati. Sono state realizzate stalle, frantoi, mulini, persino abitazioni e cripte. Queste ultime erano e restano abbellite da meravigliosi cicli di affreschi in forme e colori di ispirazione bizantina. Le chiese in rupe interessano in particolare tutto il territorio rurale.
E a proposito di architetture rupestri imperdibile il villaggio rupestre dei Santi Andrea e Procopio è uno di quelle, in contrada “L’Assunta”, presso masseria Rosati. Qui sono ben visibili ancora preziose tracce della comunità rurale medievale. La chiesa si presenta con una pianta rettangolare biabsidale con naos, iconostasi e bema suddiviso da doppio transetto. La cripta è ricca di tracce pregevoli di affreschi del XIII secolo. Un san Giorgio a cavallo, paladino dei crociati, i santi medici Cosma e Damiano e sant’Eligio, protettore dei fabbri, sono segni evidenti del culto di santi vicini alle attività e ai sentimenti della comunità rurale dell’epoca, impegnato nella coltura degli uliveti, dei seminativi e nell’allevamento.
Ma a caratterizzare questo paesaggio sono innanzitutto le masserie fortificate che costellano tutte le contrade locali. Esse rappresentano una delle più significative peculiarità del campagna e non solo, testimonianza del rilevante rapporto intercorso per secoli, tra uomini, lavoro agricolo ed, in particolare, produzione olivicola.
Oltre che lungo la costa, questi complessi fortificati li ritroviamo nell’entroterra collinoso. La masseria – castello e il suo sviluppo sono uno dei fenomeni più specifici della società agraria monopolitana dal XVI secolo in poi.
Ogni comunità insediatasi divenne, poi, un centro di coltivazione, di produzione, e commercializzazione di prodotti agricoli e fu strutturata in modo tale da essere autosufficiente e difendersi anche dalle incursioni di barbari ed altre popolazioni che imperversavano spesso nel territorio. Ciò dette il via alla costruzione delle masserie fortificate.
Il nucleo centrale della masseria locale, che risulta quasi sempre costituito da un grande edificio turriforme a due piani con una o più stanze comunicanti, era munito di ponte levatoio, saracinesca, campana, caditoie, feritoie, garitte e muro di cinta. I vani del primo piano comunicavano con quelli del pianterreno attraverso una botola per mezzo di una scala a pioli e con lastrici solari attraverso una scala in pietra ricavata nello spessore dei muri perimetrali. A magazzino per il deposito di derrate, armi, pietre ed olio con un’autonomia alimentare di circa un mese era destinato il pian terreno.
Intorno alla masseria fortificata veniva disposta la chiesa, il molino, il forno, il frantoio, le case dei coloni, il magazzino per il deposito di attrezzi, le stalle per il bestiame da carico e macello, il pollaio, la colombaia e i laboratori vari per le diverse attività pratiche svolte nell’ambito della masseria.
In caso d’assedio (preceduto quasi sempre da strumenti rurali o dal suono della campana della masseria stessa) veniva alzato il ponte levatoio che appoggiava su di una scalinata e dal terrazzo attraverso le caditoie, costruite apposta in direzione dell’ingresso e delle finestre, si facevano cadere giù pietre e olio bollente e si sparava attraverso le feritoie.
Le masserie presentano così ancora oggi una serie di opere di difesa, o avvistamento, che, costruite in varie epoche, hanno, in parte, costruito “l’asse principale” di molte delle attuali strutture architettoniche a supporto dell’agricoltura.
Dal XVI secolo in poi, la masseria fortificata divenne quindi una delle espressioni edilizie più avanzate di difesa per le sue fortificazioni contro le incursioni che provenivano generalmente dal mare. Nel settecento alcune masserie furono parzialmente modificate e divennero la dimora estiva dei nobili monopolitani del tempo (Palmieri, Indelli, Ghezzi, Manfredi…).
Oggi alcune masserie del territorio monopolitano sono state convertite in strutture ricettive o sono centri di attività agro-pastorale. Si pensi alla masseria Caramanna. Altrettanto bella è masseria Santa Cecilia, una dimora storica del cinquecento, che sovrasta una valle di ulivi secolari, immersa nei colori dell’agro locale.
Ma nelle campagne di Monopoli troviamo una promiscuità di stili che vanno dalla casa a terrazzo al trullo di influsso esterno. Sono presenti altresì esempi di trullo, abitazioni a forma di cono rovesciato di antichissime origini contadine. Invece, le ville rappresentano luoghi di riposo, dove poter godere della frescura soprattutto durante la stagione estiva. E qui, come un tempo, si può godere del piacere della villeggiatura, che significa anche libertà che un tempo si aveva nel voltarsi e girarsi nella terra e nei suoi odori, primo fra tutti quello del pane. Oppure l’odore acre, penetrante del mosto, al tempo della vendemmia, quando si danzava, ginocchi e piedi nudi, nei tini, come tanti figli di Noè.
Insieme alla Contrada “Cozzana” e “Tagliamento”, “Antonelli” è un’altra zona molto rinomata per questa forma di agriturismo anti-litteram. Contrada Cozzana è un fulcro dell’architettura rurale, in quanto presenta splendide abitazioni patrizie, costruite tra il XVIII e il XIX secolo ed utilizzate dalla nobiltà per trascorrervi periodi di villeggiatura.
Ad esempio, citiamo la bellezza della monumentale architettura di Villa Meo Evoli, che rimanda alle ville palladiane, in stile neoclassico, con uno splendido viale di accesso e giardino all’italiana con fontane e giochi d’acqua. La villa presenta altresì un museo archeologico, frutto della passione che accompagnò il fondatore della collezione, Francesco Paolo Martinelli, nobile salernitano trasferitosi a Monopoli.
Andando verso quell’alta collina che lambisce la selva di Fasano e l’incantevole Alberobello è d’obbligo una visita alla chiesetta di S. Michele in Frangesto, nei pressi della contrada Impalata. Un vero gioiello architettonico, unico elemento superstite di un casale medievale sorto in quel luogo nel XII secolo. La sua posizione in zona panoramica ed elevata può essere riferita al culto dell’Arcangelo Michele, devotamente collocato sempre in alto; e comunque è l’unico elemento ancora esistente dell’antico complesso rurale a cui era aggregata la chiesa, insieme ad un monastero femminile, citato nella Bolla che Papa Alessandro III invia a Stefano, vescovo di Monopoli nel 1180. La chiesetta, divisa in tre navate di tre campate ciascuna, e da pilastri a sezione quadrangolare con semipilastro addossato, presenta una volta a botte e due cupole in asse di altezza diversa sulla navata centrale. Non mancano volte a botte divise da archi a tutto sesto lungo le navate laterali. La copertura esterna è realizzata a tetto con falde inclinate sulle quali si staglia il campanile a vela in corrispondenza del prospetto e dell’accesso principale munito di portale centinato. Sul prospetto posteriore si evidenziano le tre absidi e la finestra centrale oltre alle due monofore laterali donde filtra la luce all’interno della chiesa.
Riprendendo l’asse viario che conduce alla “capitale dei trulli”, barra dritta verso la valle che si schiude attorno al Canale di Pirro, una vasta depressione carsica posta a circa 300 metri sul livello del mare.
La leggenda, probabilmente viziata da equivoci, associa il nome della valle al passaggio del re Pirro in Puglia, che nel 280 a.C. attraversò questi territori con un esercito formato da 20 elefanti da guerra e decine di migliaia tra cavalieri, arcieri e fanti, con l’obiettivo di salvare Taranto dalla conquista dei Romani e successivamente sottomettere l’Italia meridionale e la Sicilia. La denominazione odierna, invece, non sarebbe altro che una deformazione linguistica del toponimo originario.
Infatti, in due pergamene risalenti al XI secolo, il Canale di Pirro è conosciuto come “Canale delle Pile”, probabilmente per la presenza di numerose cisterne, le cosiddette “pile” appunto, utilizzate per la raccolta delle acque piovane che qui confluivano dai fianchi delle colline. Qui è prossima la Masseria Cavallerizza.
È questa una zona che dal punto di vista naturalistico si caratterizza per una ricca macchia boschiva autoctona, dove è possibile ammirare tanta biodiversità.
Boschi smeraldo, bruni vigneti, pascoli brulicanti di vita, bianchi trulli e grezzi muretti a secco caratterizzano il paesaggio dei due versanti. Quello settentrionale, che culmina con la Selva di Fasano, è ripido e rettilineo, quello meridionale, più dolce e sinuoso, è invece attraversato dall’Acquedotto Pugliese.